dalla "festa sulla neve" Udc

La squadra pratese che ha partecipato alla festa e alla gara nazionale trionfa con la valanga rosa piazzandosi nei primi tre posti (Chiara-Giulia-Barbara) . Ottimo primo posto anche nella categoria Kids (riccardino).
Nella categoria maschile primo piazzamento di Prato 4° posto (francesco), ma primeggiando con il duetto canoro Longo Babbo e figlio e il single Sbolgi.





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La politica in tempi di “casta”

Tutti i terremoti giudiziari che si sono abbattuti sulle amministrazioni pubbliche negli ultimi anni hanno letteralmente spiazzato e spesso esaperato i cittadini.
La mancanza di fiducia nella politica è ai massimi storici, e va notato che questo problema riguarda principalmente la politica a livello locale.
Questo per due ordini di motivi: le elezioni politiche, in un momento di emergenza economica come questo, richiamano comunque le persone alle urne, mentre per contro la disaffezione verso le nuove nomine di rappresentanti viene tutta riversata a livello locale, dove è maggiormente sentita la sfiducia in un rapporto che si considerebbe più stretto col cittadino.
L’urgenza dei grandi problemi nazionali e internazionali ha portato molte persone al voto nonostante il comune pensiero dei cittadini sulla politica e sui suoi dirigenti sia in genere negativo, vuoi per le indagini giudiziarie di cui molte amministrazioni sono state oggetto in tutta Italia, vuoi per la vasta eco dei media su tutti i malcostumi della “casta” (anche quelli privi di rilevanza penale).
Sicuramente i politici locali sono percepiti come la “casta” più vicina ai cittadini, i privilegi che si possono toccare con mano, e l’inettitudine dell’amministrazione a livello locale in molti casi alimenta questo sentimento di insofferenza che sicuramente caratterizzerà la campagna elettorale delle amministrative.
Il compito della politica è dunque doppiamente difficile.
La classe politica dovrà fare i conti con questa situazione e avrà il compito di rinnovarsi, di uscire dai vecchi schemi, soprattutto in regioni come la Toscana, dove l’amministrazione è da decenni di un solo colore, dove le maggioranze dovranno per lo meno dimostrare che l’amore per le poltrone e gli incarichi non è il solo scopo della campagna elettorale mentre le opposizioni dovranno invece mostrare maggior limpidezza e minor attitudine al compromesso. Insomma, il compito è arduo, perché bisogna uscire dal circolo vizioso che oggi i cittadini si trovano sotto gli occhi: una politica che alimenta soltanto se stessa e da cui le città, le province e le regioni non traggono reali benefici.
E ciò va fatto in un clima più che mai polemico e affrontando lo spirito dei cittadini ormai poco inclini alla riconciliazione con i propri amministratori.
Il discorso però non finisce qui.
Anche l’elettorato ha un compito ben gravoso. Le polemiche sulla casta politica hanno fatto emergere anche commistioni con il mondo dell’imprenditoria o del lavoro, con i cittadini stessi talvolta. Il malcostume insomma non è appannaggio dei soli politici.
A livello nazionale osservatori e commentatori si sono più volte chiesti se davvero non meritiamo la classe politica che abbiamo. Ebbene, questo siamo noi a doverlo dimostrare.
Ed il primo passo sono le elezioni amministrative e come ci rapporteremo ai nostri futuri rappresentanti.
Per il vero cambiamento occorre il superamento di ogni pregiudizio da parte di noi cittadini nel dibattito politico, evitando polemiche e insulti facili o richieste di miracoli in diretta.
Il tutto però dovrà essere preceduto da un ovvio atteggiamento di trasparenza negli intenti e nei programmi da parte dei candidati.
Francesco Querci (segretario comunal udc)

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LA CITTA’ CHE SI TRASFORMA

Contributo all’incontro promosso dal gruppo 38-1

Le Varianti al PGR di Secchi su: Piano strutturale,regolamento urbanistico,aprono in città un dibattito che noi speriamo veramente partecipato sulla Città che vorremmo.
I limiti ormai da tutti riconosciuti del PRG di Secchi ,che pur cercando una visione d’insieme ,ha di fatto immobilizzato lo sviluppo della città,impedendo un recupero di aree produttive e residenziali secondo la domanda che il mercato e le necessità richiedevano,ed isolato di fatto il centro dell’area metropolitana quale è Prato non riuscendo a prevedere strumenti di collegamento tra la singolarità urbana ,da Secchi proposta in modo errato come la Città-fabbrica,e le aree contigue di Firenze e Pistoia.
Una visione limitata che non ha previsto infrastrutture di collegamento e mobilità e che al contempo non ha permesso una trasformazione diversificata rispetto al manufatturiero tessile ,prevedendo piani di recupero per aree limitate,secondo standard pianificati in modo uniforme,che da una parte non hanno permesso interventi veramente importanti ed innovativi per il marketing territoriale,e che hanno penalizzato anche la progettazione,perché si è dovuto pensare secondo obsoleti regolamenti urbanistici la realizzazione di edifici residenziali e produttivi che il mutamento della città avrebbe richiesto più adeguati e degni di arredo. Difendendo la Città-fabbrica si è imprigionato la città in un decadimento programmato.Il resto lo ha fatto la crisi economica.
Ma siamo a domandarci : La crisi in cui versa la città è la causa o l’effetto del decadimento abitativo ,produttivo,decisionale? Come si pone il gruppo 38-1 sul piano Secchi? La nuova variante non avvantaggerà,ma anzi perseguirà le rendite fondiarie,come se negli ultimi 60 anni prato fosse stata amministrata da politiche diverse. La necessità di un Nuovo Piano strutturale ,e di una revisione del regolamento urbanistico che leghino in un percorso continuo con controlli di verifica formazione dei modelli di pianificazione e gestione,attuando davvero le aspettative del Piano Strategico,le criticità nell’attuazione di recupero degli edifici produttivi,il ritardo nell’attuazione di strutture di Servizio, rimangono solo intenzioni ormai, nelle possibilità di questa Amministrazione. Noi non pensiamo che La Variante sulla Declassata per Il Polo Espositivo,ormai la Madre di ogni intenzione di revisione urbanistica,
Nonostate la si voglia camuffare come una variante di trasformazione della città è soltanto invece un intervento su un’area grande ma poi non così grande 40.000 mq che potrebbe diversificare ma certamente non incidere sulle vere necessità urbanistiche.Il dibattito urbanistico pro e contro non può limitarsi a questo.
La scelta della variante per la Multisala fatta in extremis dalla precedente Amministrazione almeno aveva trovato se non l’unanimità almeno il consenso di una gran parte della città ,dibattuta tra il buono ed il cattivo,tra la qualità dell’intervento ed il peso di ricaduta.Quella scelta non era però in modo dignitoso contrabbandata come la CITTà CHE SI TRASFORMA.
Ora non vorremmo che nella fretta di creare un polverone intorno ad una scelta importante,ma una,ci si dimenticasse che quell’intervento non può risolvere i problemi del centro storico,i problemi di un piano di edilizia economica e popolare per migliaia di nuovi,residenti,la soluzione di problemni urbanistici sollevati da comitati civici spontanei.C’è bisogno più che di interventi faraonici di un percorso continuo più vicino ad una realtà che si trasforma,di quelle piccole cose che fanno vivibile e bella una città per i suoi cittadini e per chi ha voglia su questa di scommettere ed investire.
E che dire sul dimezzamento delle volumetrie industriali :non si può accettare in modo automatico questa linea ; negli interventi di recupero a volte bisognerebbe salvaguardare l’unità degli edifici secondo logiche progettuali procedendo secondo i casi di intervento.
Uno degli aspetti oscuri del procedimento per la variante rimane la partecipazione dei cittadini alle scelte sul recupero degli spazi e degli edifici.Al momento è previsto un garante della comunicazione Urbanistica,e la Regione sta varando una legge sulla partecipazione farraginosa ma potenzialmente utile,ma costruire scelte in base ai valori durevoli che la comunità della citta vuole difendere in primis vuol dire sapere ascoltare davvero.
E’ certamente interessante che un gruppo di architetti e non identificati nella sigla 38-1 cominci a diversificarsi in modo netto,scegliendo di fatto un’alternativa politica a questa amministrazione in tema di PRG,ma non siamo ipocriti,alcuni dei firmatari contribuirono e non poco alla costruzione del Piano Secchi,molti condivisero quelle scelte.
Se noi accettiamo le critiche alle varianti,e condividiamo il recupero delle frazioni,e la valorizzazione del Centro storico,non possiamo valutare la concertazione certamente come strumento inconcludente e dubitiamo che l’Agenzia strategica Prato almeno come la si legge dai comunicati stampa possa essere lo strumento per un piano diverso.
Se condividiamo le critiche una maggior trasparenza sulle municipalizzate,e la proposta a sciogliere il distretto partallelo cinese attraverso una vera integrazione nel mercato secondo regole e programmi comuni,vorremmo chiarezza sul rapporto tra maggioranza ed opposizione,sul ruolo del Comune e della Provincia e della Regione.
Noi cerchiamo di dialogare con la società civile di cui siamo parte come cittadini proponendosi però anche come partito politico.
Il pericolo che nuovi profeti,che hanno da sempre condiviso ed utilizzato linee politiche della sinistra ,oggi si propongano per attirare come nella favola del Flautaio magico di Andersen le nuove generazioni aggregatesi nei Comitati spontanei cittadini,ci rende
Propensi ad evitare facili entusiasmi.Non vorremmo finire tutti affogati come i topolini della favola.
Agli amici di 38-1 : Siete disposti a ripensare il Piano Secchi e la sua visione della città fabbrica,siete disposti a rivedere l’assetto del Macrolotto 2,siete disposti a pensare collegamenti viari nuovi e nella provincia e nell’area nord di Cantagallo e Vernio ?
Siamo preparati al confronto.
Enrico Mencattini segretario Provinciale UDC



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IL RUOLO DELL'UDC A PRATO



Un punto fermo noi l'abbiamo!

Alla riunione del Comitato-Elettorale-Udc-Prato é uscita unanimamente la volontà di candidare l’Unione di Centro alla guida della Città di Prato con autorevolezza, in maniera unitaria con uomini e donne disposte a spendersi per partecipare da vicino al rinnovamento della politica per rilanciare il Comune e la Provincia, attraverso un nuovo patto sociale con gli elettori capace di interpretare le legittime esigenze dei cittadini costretti a vivere nel caos quotidiano di fronte alla negligenza di una Giunta di centro-sinistra e di un Consiglio Comunale che oramai è giunto al suo capolinea.

Rispetto agli altri partiti di opposizione e di maggioranza, l'UDC é pronta con i propri candidati e con una lista civica di appoggio con persone provenienti dalla società civile.

Rimane ancora aperta la via, per il bene della città, di scelte differenti, di allenze che possano aggregare chi é contro al progetto di rafforzamento della "lobby" di sinistra.
Di fronte ad una proposta politica seria, costruttiva ed idonea a costituire una reale alternativa alla sinistra, siamo pronti a dare il nostro contributo e a fare la nostra parte.
Non siamo però disposti a navigare in mari agitati ed incerti. Di fronte ad una risposta fioca e lenta,siamo già pronti a candidarci come unica proposta alternativa.
Francesco Querci (segr. comunale)

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Festa sulla Neve: da Prato una nutrita squadra

I segretari di Prato Mencattini Querci e Longo guideranno la spedizione a Sestola del gruppo (20) che parteciperanno alla Festa sulla Neve dell'UDC.


Per l'Udc è ormai un appuntamento fisso che continua ad avere come teatro Sestola. E’ la «Festa sulla neve», che anche quest’anno vedrà i leader nazionali del partito dei centristi, impegnati in dibattiti politici.

La manifestazione, che si terrà da oggi fino a domenica, è stata presentata ieri da Fabio Vicenzi, coordinatore provinciale, Paolo Ferrari, coordinatore per la zona del Cimone, e Davide Torrini, commissario regionale.

Il ciclo di incontri, che si terranno al cinema Belvedere in corso Umberto, entrerà nel clou domani pomeriggio: alle 15,30 parlerà il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione. Sabato alle 15,30 sarà la volta di Pier Ferdinando Casini, che sarà intervistato dal direttore di Qn e Il Resto del Carlino Pier Luigi Visci. Domenica le conclusioni finali toccheranno al segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa, che parlerà alle 11,30.

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Querci (Udc): Chi non é stato in grado ieri di dare risposte come può oggi segnare positivamente il corso degli eventi?

Prato, 20 gennaio 2009 - «Tutti noi siamo animati dal desiderio di fare risorgere il nostro Centro Storico e spesso riteniamo di avere la ricetta defiinitiva, "quasi magica". Quanto letto su Via Santa Trinita ne é l'esempio; ma potrei citarne altri interventi che riguardano altre vie, piazze o quartieri, ma la sostanza non cambia. Si riapre alle automobili, anzi anche agli autobus e, come d'incantesimo, Via Santa Trinita risorge e tutto il centro si riqualfica.

Purtroppo non sarà così, come del resto non sarà così per il resto del Centro in assenza di una progettualità complessa e qualificante che oltre ad un piano di riassetto viario e di accesso al centro, adotti misure economiche di sostanza: dagli investimenti, alle agevolazioi fiscali, all'accellerazione delle pratiche per il recupero deli immobili in centro, incentivi di varia natura per residenti e commercianti con in servizi a questi connessi (compresi quelli per la sicurezza). Non cadiamo, dunque, nell'errore dell'approssimazione e della superficialità che é stato elemento che ha caratterizzato l'amministrazione di sinistra.

Oltre le enunciazione teoriche, ha fatto seguito solo un'azione dettata dall'emergenza quale sintomo inequivocabile di continuo ritardo di manovra d'intervento e valutazione dei fenomeni. Dall'ultimo progetto dell'assessore Carlesi, risultato anacronistico per non tenere di conto dei cambianti in atto in città, si é passati ad un'inerzia totale del suo sostituto. Quello che in cinque anni é stato rimproverato all'amministrazione di sinistra é stato proprio la mancanza di progettualità e di coraggio.

Dopo l'anacronistico progetto dell'allora assessore Carlesi é seguito solamente il progetto di Piazza Mercatale (dettato più dalla disperazione che dalla convinzione) con un epilogo a noi tutti sin troppo noto. Oggi esiste un divieto che si concretizza nel non sbagliare; il nostro centro non si può permettere esperimenti dettati dalle emozioni, dall'emergenza o anche dalla passione.

Chi ha voglia di fare ha l'occasione elettorale da sfruttare direttamente o indirettamente per indirizzare verso le scelte migliori e verso gli uomini capaci di attuarle, con l'avvertimento però di evitare di riporre fiducia in coloro che oggi ritengono di sapere cosa fare quando sino a ieri hanno gestito la città, direttamente o indirettamente, condizionando fortemento il destino del nostro centro storico, purtroppo nella direzione sbagliata! Francesco Querci, segretario comunale Udc».

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Gli "ultimi sondaggi elettoral" nazionali

Il sondaggio Ipsos conferma la crescente fiducia nell'Udc emersa nel sondaggio IPR
clicca sopra per ingrandire




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Caso Englaro: Nuovi diritti, ora basta invasioni di campo

Mentre giunge la notizia che la casa di cura "Citta' di Udine" non accoglierà Eluana Englaro per l'attuazione della sentenza che autorizza la sospensione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale, reso noto dalla stessa struttura sanitaria, si segnala un intervento sulla materia del Presidente della Corte Costituzionale, potenzialmente idoneo a ondizionare i lavori parlamentare ed ad alimentare il dibatto:

Nuovi diritti, ora basta invasioni di campo

«Preferisco i confini alle invasioni di campo», ha dichiarato il presidente della Corte Costituzionale Flick, con esplicita allusione a come la Cassazione ha invaso (e pesantemente) il campo della politica, sentenziando in merito al caso Englaro. E ha fatto anche altri esempi: le unioni tra persone dello stesso genere, l’inizio e la fine della vita, il testamento biologico, il trattamento terapeutico per malati terminali o incoscienti. Per Flick «eludere queste domande significa delegare le risposte, caso per caso, agli organi giurisdizionali, talvolta privi di precisi referenti normativi» .
Bisogna quindi ritenere che sia necessario che il Parlamento intervenga, prendendo sul serio la questione dei 'nuovi diritti' della persona. Altrimenti le 'invasioni di campo' continueranno e inevitabilmente. Sul fatto che bisogna una volta per tutte porre rigorosi sbarramenti alle invasioni di campo, sono perfettamente d’accordo con Flick ( e in particolare sul fatto che sia davvero necessaria una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento). Ma ci sono diversi modi per impedire arbitrarie invasioni di campo. Il modo peggiore è quello posto in essere da chi, per evitarle, si affretta a consegnare il campo minacciato d’invasione a coloro che vorrebbero invaderlo e ai loro ' alleati'. Se, per impedire che la Cassazione si inventi un testamento biologico aperto all’eutanasia ( e per di più orale), si auspica che il Parlamento faccia una legge obiettivamente eutanasica, cadiamo dalla padella nella brace. Se accettiamo l’idea ( carissima a tanti magistrati ' alternativi') che la dinamica sociale faccia emergere ' nuovi diritti', che il Parlamento avrebbe il dovere di formalizzare in forma legale, arriveremo prima o poi a qualificare come ' vecchi' i diritti ' tradizionali' e alla lunga apparirebbe ragionevole, per favorire il ' nuovo', allentare la tensione, trascurare o addirittura cancellare diritti 'invecchiati'. Il punto è che, come sostiene giustamente Dworkin ( non a caso citato da Flick), i diritti ' vanno presi sul serio'; ma se i diritti esistono, esistono perché non sono né nuovi né vecchi: i diritti della persona sono diritti fondamentali e basta. Sostenere il contrario veicola l’intenzione di forzare la corretta immagine dell’uomo che emerge dal testo della nostra legge fondamentale, dilatando arbitrariamente l’elenco dei diritti che essa riconosce e difende. Non è questa di certo l’intenzione di Flick, ma è certamente quella di tanti che si sono compiaciuti del suo intervento al Convegno promosso dalla Luiss per il sessantesimo della nostra Costituzione. Ma se si elude la questione dei ' nuovi diritti', come impedire ai magistrati di invadere un campo che non è loro? Ricordando loro, senza mai stancarsi, che essi sono vincolati alla legge e pretendendo da loro ( come da tutti i cittadini) la massima onestà intellettuale. La Costituzione non riconosce come diritto fondamentale né la richiesta di eutanasia, né il rifiuto delle cure. Essa semplicemente nega che una persona possa essere obbligata a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge (art. 32).
La Costituzione non dà nessun appiglio per il riconoscimento legale delle coppie di fatto o delle coppie omosessuali come ' formazioni sociali' meritevoli di tutela ( ed etichettabili con gli appellativi più fantasiosi e stravaganti: Pacs, Dico, Cus, Didore...!). Essa si limita ad affermare che i diritti inviolabili valgono non solo per l’individuo singolo, ma anche per l’individuo integrato in una qualsiasi 'formazione sociale' ( art. 2). Potremmo continuare. Che l’espressione ' nuovi diritti' vada oggi molto di moda e venga sempre più spesso usata dai politici è ben noto e del resto nessuno può pretendere dai politici rigore linguistico e sobrietà di espressione. Ma giuristi e giudici dovrebbero fare di tutto per non abdicare a un corretto uso del linguaggio giuridico. E, nel linguaggio giuridico, l’espressione ' nuovi diritti' non ha alcuno spazio.
Francesco D'Agostino

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raccolta "porta a porta" in centro a Prato

In questi giorni è stata recapitata nelle case dei residenti del centro storico, una lettera con la quale si informa dell'avvio del progetto della raccolta differenziata 'porta a porta' dal mese di febbraio.


Questo comporterà la liberazione del centro dei contenitori sparsi per le vie e dei rifiuti indifferenziati, prevedendo in casa la differenziazione a seconda dei materiali, organici, plastica, carta, residui secchi, tetrapak e altro, che andranno riposti in appositi contenitori forniti dal Comune e ritirati per tipologia in giorni della settimana alterni in una fascia oraria determinata. Ciò si tradurrà nel vedere le nostre strade con tanti piccoli indistinti cassonetti tutti in fila di sera in attesa del ritiro.

La raccolta di questo tipo, da lodare e condividere, reca però due tipologie di problematiche che sono già emerse dove il sitema è già stato attuato e persino nella vicina Pistoia. Lo spazio per i vari contenitori all'interno delle case più piccole e quello, più grave, dell'igiene, della salute ambientale e del decoro urbano nel caso di una sua non perfetta attuazione.
Infatti se da un punto di vista teorico tutto appare coincidere con le attuali esigenze ambientali, dal punto di vista pratico le insidie sono molte ed anche intuibili.

Il centro di Prato conosce un perdiodo delicato, con larghe zone del suo territorio interessato dal degrado e da condizione d'igiene critiche che ha spinto l'amministrazione, in taluni casi, a riporre cassonetti dove erano stati tolti (Piazza Lippi). Mucchi di sacchetti di spazzatura si ingrossano fuori dagli orari previsti e ciò è sintomo di una scarsa sensibilità da parte di parte dei residenti vuoi per mancanza di volontà, vuoi per difficolt di comprsnsione, vuoi per male educazione.

Il progetto 'porta a porta' non dovrà solo essere accompagnata da una capillare campagna informativa, che comunque verrà fatta propria da parte di una minoranza della cittadinanza, ma sin da subito da una politica di controllo altrettanto capillare. Su quest'ultimo punto sono molte le perplessità; la raccolta verrà effettuata dalle 19,30 alle 20,30 ovvero in un orario già noto per la difficoltà di copertura da parte della polizia municipale e per criticità ancor più gravi.

Invitiamo l'amministrazione cittadina, dunque a porre un'attenzione particolare proprio in concomitanza dell'attuazione del progetto con un impegno particolare per i necessari controlli, evitando di compiere altrimenti passi avventati e prematuri.
Senza la garanzia di un controllo attento e continuo, per informare o per fermare i trasgressori si rischia un ennesimo fallimento delle politiche per il Centro, con l'ennesimo nocumento al suo decoro, alla sua pulizia e quindi per la sua vivibilità.

Resta infine ancora bene a chiarire come verrano smaltiti i derivati della raccolta differenziata.

Francesco Querci
Segretario comunale Udc Prato

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Incontro Crocevia sui Diritti umani (14/01/09)

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ELUANA ENGLARO “Perchè è ancora viva.

ELUANA ENGLARO

“Perchè è ancora viva.
Ed è diventata il simbolo della sofferenza umana. Ma anche nel dibattito lacerante tra la sacralità della vita, l'utilitarismo dell'esistere, la garanzia di un'esistenza decorosa.”””

“Le argomentazioni degli uni e degli altri si fanno sempre più sottili, ma la vita solo apparentemente addormentata di Eluana ci parla un linguaggio semplice e diretto.
Sono viva e sono affidata alle vostre cure, perchè da solo non sono in grado di badare a me stessa: che volete fare?”

“Per non rifiutarmi a dichiarare un'opinione, concludo dicendo che non riesco a condividere un progetto di morte realizzato attraverso la mancata somministrazione di acqua e di cibo.
Sembra un trattamento da non infliggere neppure ad una pianta.”

(tratti da Liberal di Maria Pia Ammirati e Paola Binetti)

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“Non c’è laicità senza fede” (Unità Politica dei cattolici)

dott. Salvatore Martinez Presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito

Intervento a Loreto Conventione UDC 2008

Nella nota pastorale della CEI, seguente al Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona del 2006, si legge: «Occorre creare luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, i loro pensieri sull’essere cristiani nel mondo» (n. 26).

Ebbene, questo è uno di quei luoghi. Intanto, mi piacerebbe rileggere l’acrostico “UDC” – che sta per “Unione di Centro” – come “Unità dei Cristiani”. Qui a Loreto non è a tema l’unità “partitica” dei cattolici italiani; piuttosto la possibilità concreta che si ritrovi un’unità “politica” dei cattolici italiani.

Pertanto, un plauso al titolo “Non c’è laicità senza fede”. La fede, per sua indole, sa generare solo unità. Genera un “corpo”, uno stile di vita comunionale, una comunione di uomini che stanno in comunione con Dio. La fede è comunione!

Sant’Agostino affermava che “se la fede non è pensata allora è nulla” (in De Praedestinatione sanctorum, 2,5). Quindi più che “ripensare” al passato, dobbiamo “pensare” il presente come uomini spirituali, cioè valutando la realtà come uomini – ricorderebbe S. Paolo – che hanno “il pensiero di Cristo” (1 Cor 2, 16).

Il tema, poi, esplicita in modo chiaro il concetto di “realismo cristiano” al quale anche la politica deve obbedire.

Il credente è il realista per eccellenza. Non si rifugia nostalgicamente nel passato, né invoca un futuro depressivo o repressivo. Il cristiano è colui che con S. Paolo ripete: «La realtà è Cristo» (Col 2, 17). La differenza la fa Cristo. Il dilemma è tutto qui. Se Cristo c’è o non c’è. Perché se Lui non c’è, allora anche io sono assente, insignificante, impotente. O la mia fede genera Cristo nella storia, o il mio essere laico nel mondo profumerà di morte e non di vita, non basterà a salvare la mia anima, figurarsi essere di aiuto per gli altri.

La nostra laicità parte dal reale, lo include, lo assume, aspira a trasfigurarlo. È una laicità aperta all’uomo perché già spalancata a Cristo. Se è chiusa la porta della nostra fede in Dio, sarà sigillata la porta della nostra fiducia nell’uomo. La misura della nostra laicità è insieme uno spazio antropologico e teologico inscindibili: l’uomo e Dio; ancor meglio l’uomo in Dio e Dio nell’uomo. Lo illustra la meravigliosa “magna charta” sul laicato cristiano – la “Christifideles Laici” – di cui quest’anno ricorre il ventesimo dalla pubblicazione.

Questa Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II ha spalancato un nuovo e magnifico orizzonte ai laici, interpellati con coraggio e fiducia a non disertare la storia, invitati «a guardare in faccia questo nostro mondo» (n. 3).

La realtà si può guardare, giudicare, abbracciare in due modi: obbedendo allo spirito di questo mondo, oppure obbedendo allo Spirito di Dio. Da una parte le tenebre della menzogna, dell’inganno, della falsità; dall’altra la luce della verità, della sincerità, dell’onestà.

La nostra laicità è lo spazio creativo dell’amore, di un amore compassionevole per questo nostro mondo. La nostra laicità è la capacità interiore di vedere il bene che manca tra le pieghe del male evidente, delle strutture di peccato che colpevolmente stanno espatriando Dio dalla storia. Un Dio che, al massimo, si vorrebbe come “un al di là”, un Dio scomodo, troppo esigente per essere parte di questo nostro tempo ondivago. Cristo, invece, si è posto come Signore del “di qua” e a noi - per fede - chiede di governare con Lui questo nostro mondo.

Senza questa passione per Dio e per l’uomo, la politica è più sterile delle donne sterili. Genererà solo delusione e fughe. Essere laici cristiani significa vivere una vita paradossale, essere uomini di sofferenza che seppure segnati dalla condizione umana si sforzano di non deturpare la bellezza e di non attenuare la gioia che provengono dal Vangelo di Cristo, perché l’amore non è mai insignificante ed è sempre crocifiggente.

Il Papa Benedetto XVI è esplicito: la politica, in ogni ordinamento statale giusto, è servizio permanente d’amore. “Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo” afferma al n. 28 dell’Enciclica.

È un giudizio lucido, laicissimo al contempo. La politica non è aliena dai valori dello spirito, altrimenti sarà un’osservazione epidermica della realtà, così che pensiero e azione mancheranno di un principio interiore, spirituale che le unifichi.

Proprio in occasione della XXIII Assemblea Plenaria dal Pontificio Consiglio per i Laici, dedicata alla rilettura della Christifideles laici, ricevendoci in Udienza privata (Città del Vaticano, 15 novembre 2008) Benedetto XVI ha affermato con la chiarezza espositiva che lo contraddistingue:

“Ribadisco la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune”.

Con queste parole il Pontefice ritornava sull’appello lanciato a Cagliari il 7 settembre u.s., indicando anche la pedagogia da seguire. Occorre porsi in questa sintonia e assecondare i passi proposti dal Pontefice per dare corso a questa sfida che ci attende.

“Formazione evangelica e accompagnamento pastorale”. Questi i due criteri metodologici e pedagogici con i quali dar corso a questo impellente impegno ecclesiale. Ma sono “cinque”, nel giudizio del Pontefice, le virtù, le caratteristiche da riscontrare o da determinare nei candidati, perché possa realizzarsi “il bene comune”:

• “coerenti con la fede professata”, non con le proprie idee o con quelle – finanche buone e umane – conformi all’opinione pubblica;
• “rigore morale”, perché è in atto una crisi antropologica tale da non poter più rinviare o minimizzare la gravità della “questione morale” anche tra i cattolici:
• “capacità di giudizio culturale”, cioè discernimento, frutto di studio, di meditazione, di capacità di distinguere un bene personale dal bene comune;
• “competenza professionale”, perché la politica è un’arte e non ci si improvvisa, specie quando non si possiede neanche un’attitudine o un’esperienza tecnica specifica;
• “passione di servizio”, non per l’onore personale o la gratificazione di pochi.

Mi soffermerò sulle due prospettive che il Santo Padre riconosce “necessarie e urgenti”.

Intanto la formazione evangelica. Non si legga “formazione politica” di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica, ma “formazione evangelica” di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. Quindi occorre ritornare al Vangelo. È il Vangelo, da duemila anni, la fonte di giovinezza del mondo, quindi anche della politica.

È il Vangelo la migliore scuola di laicità possibile per l’umanità, perché nessuno più di Gesù ha insegnato agli uomini l’arte di vivere, partendo dal posto più insignificante della geopolitica del tempo, una stalla di Nazareth, e occupando infine il posto più infame per la politica del tempo, cioè la croce, per dire con i fatti come si ama, come si sta dalla parte della gente fino a dare la vita per i propri nemici.

Utopia? Ma allora lasci perdere chi pensa di dirsi cristiano in politica. Non esiste altra via. Che tu voglia assimilarti al “cristianesimo dell’essere lievito” o al “cristianesimo dell’essere luce” non puoi sfuggire alla prova del Vangelo.

L’indimenticato Papa Giovanni Paolo II, con ferma lungimiranza sentenziava: “Non c’è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo” (in “Centesimus Annus”, 3).

Pertanto, è il Vangelo la migliore fonte possibile d’ispirazione politica, di formazione “alla politica”. Se la politica è la “più alta forma di carità”, come ci hanno insegnato i Pontefici dello scorso secolo, il secolo della Dottrina sociale della Chiesa, ebbene proprio dall’alto, dall’alto dei Cieli Dio è venuto nella nostra terra, si è fatto per insegnarci come servire l’uomo, come onorare la sua dignità umana, come rendere il mondo in cui questo uomo abita più giusto, più solidale, più fraterno.

Con S. Paolo dovremmo fare del Vangelo il nostro vanto, perché niente di meglio, di buono, di vero, di divino possiamo trovare in nessuna altra scienza umana, teologica, sociologica, filosofica più del Vangelo di Gesù.

Urge tornare al Vangelo. Senza mezze misure, senza accomodamenti di senso e di prassi, senza vergogna di dirsi cristiani. In fondo, guardando allo scudo crociato e alla croce che vi campeggia, sarebbe una bella provocazione tradurre la sigla UDC, almeno nel silenzio del cuore di chi in questa compagine milita, e con tutto il rispetto per chi ne è alla guida, più che “Uno di Casini” oppure “Uno di Cesa” con “Uno di Cristo” o se volete “Uno del Crocifisso”. Sì, di Cristo! Fieri di avere imparato dal Crocifisso l’arte di amare.

Perché il Vangelo è passione, è sacrificio, è coerenza tra la fede che si professa e la vita che si conduce, “il cui distacco, sempre più evidente - già il Concilio nella Gaudium et Spes - considerava uno dei più gravi errori del nostro tempo” (n. 43).

Quel Crocifisso indica la via, la verità e la vita da abbracciare come la più conveniente modalità di essere politici in questo mondo. Perché il cristianesimo è una via da percorrere, una verità da annunciare, una vita da vivere. È tutto qui il contenuto pratico della nostra laicità, del nostro essere laici in questo mondo. La cifra della nostra laicità è Cristo. Non è un aggettivo, è una persona. Non è un ricordo, è pensiero dominante. Non è un insieme di teorie, ma di buone prassi

Mai dimenticarlo: dal Vangelo nasce la Chiesa, il modello più efficiente di organizzazione, di management, di pianificazione strategica che la storia da duemila anni possa vantare: nessuna diplomazia è mai stata più longeva di quella fondata sul Vangelo. Chi sta dalla parte di Cristo non soccombe, resiste ai secoli. “Con Lui o contro di Lui – diceva il Manzoni – perché essere senza di Lui, come molti pensano di fare in nome della laicità, è già essere “contro di Lui” (in Osservazione sulla morale cattolica).

Urge un rinnovamento. Una seria, profonda stagione di rinnovamento che abbia un segno distintivo di svolta, un’espressione autentica di fede in un gesto alla portata di tutti: riprendere il Vangelo tra le mani. Rimetterlo nel cuore, nella testa, nella volontà. Quanto più si vorrebbe una vita ispirata al Vangelo di Gesù, una politica ispirata al Vangelo, tanto più è urgente riprendere il Vangelo tra le mani.

L’urgenza dice emergenza, come una casa che brucia o una città le cui fortificazioni sono assediate dal nemico. È bene, se qui si vuole immaginare uno scenario nuovo per una politica ispirata, disegnata, armonizzata con i principi fondamentali della nostra tradizione cristiana, occorre dire che il nemico della superbia, dell’egoismo autoreferenziale, dell’immoralità, dell’avidità del potere, dell’avarizia del denaro si sono felicemente accasati nei cuori di molti cristiani che non onorano Cristo con la loro vita.

Il Papa parla anche dell’urgenza dell’accompagnamento pastorale. È quella responsabilità ecclesiale che interpella in primis le Chiese locali, le parrocchie, i movimenti, le nuove comunità, le associazioni. Nel 1998 Giovanni Paolo II e nel 2006 Benedetto XVI hanno indicato nella Chiesa la coessenzialità del profilo gerarchico e di quello carismatico; e hanno chiamato noi leaders di movimenti cattolici ha vivere la corresponsabilità pastorale con il ministero petrino, promuovendo scuole di vita cristiana che formassero alla preghiera, alla comunione, alla libertà, alla missione.

È urgente ridare vita a questo “accompagnamento pastorale”, ad uno stile di vita ecclesiale più fraterno, partecipativo, spirituale, carismatico. È un fatto che con il tramonto della Democrazia Cristiana la formazione non sia più di casa in politica. Si può ripartire? Sì, ma urge ritessere i fili di una fiducia ecclesiale, di un discernimento ecclesiale che riveda più vicine e dialoganti la gerarchia e il laicato, specie quello associato, nella difesa e nella promozione della laicità cristiana del nostro Paese, senza clericalizzazioni del laicato o laicizzazioni del clero.

Insieme, dobbiamo ri-formare e rinnovare la nostra coscienza sociale fondata sulle verità evangeliche. Insieme, e in modo esigente, dobbiamo esplicitare il contenuto morale della nostra fede quando parliamo di bene comune ed essere esigenti con chi si dice “cristiano in politica”.

Occorre ritrovare l’umiltà di ripartire dal basso, di chiedere aiuto, di lavorare insieme alla nostra gente – non alle spalle – di stare sul territorio, di partire dal territorio, di lavorare nel territorio senza “ambizioni romane”, mostrando proprio nelle nostre comunità locali la bellezza e la forza della comunità ecclesiale: Altro che divisi, minoritari e marginali. Abbiamo numeri da fare spavento e piangiamo sempre miseria offendendo la grazia di Dio che ci ha fatto oggetto di ogni dono di grazia, materiale e spirituale.

Nessuno può più tirarsi indietro. Il regno di Dio deve avanzare, non essere lacerato da inutili rancori autoreferenziali che ancora serpeggiano nel mondo cattolico, né arroccarsi su posizioni ideali che la storia ha già superato, retaggi del passato che non interessano le nuove generazioni e che paralizzano l’avanzare del nuovo anche in politica.

Nessuno si faccia illusioni se si vuole che i movimenti, le comunità, siano lo spazio del discernimento, della formazione, della maturazione di nuove vocazioni, di nuovi carismi da offrire all’impegno politico. Se vogliamo fare un tratto di strada insieme saremo vigilanti: non possono esistere deleghe in bianco per nessuno, né compiacimenti o acconsentimenti verso amici e conoscenti che premiano la mediocrità, penalizzano ciò che di buono, di veramente buono c’è in mezzo a noi e che viene relegato ai margini, in particolar modo i giovani.

Siamo alla vigilia di due importanti anniversari.

A Sturzo non dobbiamo solo un debito di memoria, ma il dovere di prestare un ascolto più profondo. La sua lungimiranza profetica ritorna attualissima: non si possono governare gli uomini, se non si è governati dallo Spirito Santo. Non c’è ordine sociale senza ordine spirituale.

Struzo, partendo dal territorio e attraversando in lungo e in largo l’Italia per 14 anni, ovunque postulava questo principio: la coscienza sociale di un popolo può essere risvegliata, può farsi cultura solo a partire dai valori dello Spirito”. Ben lo intese don Luigi Sturzo che esiliato a Londra, nel 1938, scriveva (in The preservation of the faith): “La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. Ciò procede lentamente, ma è una costruzione sicura, un edificio con profonde fondamenta di carità e di giustizia”.

Proprio lamentando questo “ritardo spirituale” don Sturzo riscontrava un pericolo: che la vita della società, per un credente, potesse rimanere solo sul puro piano “naturale”, come se veramente potesse esistere “una società naturale libera da ogni influsso soprannaturale. Al contrario non esiste che una società che fa reale sintesi con la soprannaturalità. Vita soprannaturale come integrativa, sintetizzante e trascendente la vita naturale, presa sia come iniziativa divina nell’uomo sia come corrispondenza dell’uomo all’iniziativa divina” (in La vera vita. Sociologia del soprannaturale).

Vorrei concludere con un’immagine, come ci viene raccontata dall’evangelista Giovanni: Gesù che incontra Nicodemo (in Gv 3, 1-21). È l’umiltà della natura umana (Nicodemo) che incontra la potenza della natura divina (Gesù). Nicodemo, un anziano rabbino, incontra Gesù, un giovane rabbino, convinto che dietro quella potente parola accreditata da segni e miracoli si nasconda qualcosa di più di un semplice maestro. “Cosa devo fare?”, chiederà Nicodemo a Gesù. Nicodemo è deciso a mandare in crisi le sue certezze. Invoca una nuova vita. E Gesù non lo delude. “Fai la verità e così rinascerai.. Perché ciò che è nato dalla carne è carne, ma ciò che è nato dallo Spirito è Spirito. Opera la verità e verrai alla luce, perché appaia chiaramente che le tue opere sono state fatte in Dio”.

Il miracolo di una vita nuova, di una politica nuova, di un Paese nuovo non risiede nelle nostre forze umane, ma nella forza dello Spirito Santo, perché appaia chiaramente che è opera sua, proprio attraverso le nostre debolezze e infermità. Se questa opera è stata fatta in Dio e obbedirà allo Spirito di verità e allora non solo farà venire alla luce qualcosa di nuovo, ma darà vita a qualcosa che rimarrà.

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